«Il laboratorio creativo di Beckett nei Quaderni di regia», di Nicola Arrigoni (Sipario.it)
Nicola Arrigoni, «Il Sipario.it», 20 gennaio 2023
Cue Press pubblica per la prima volta in Italia i taccuini di appunti
È forse una delle operazioni editoriali più interessanti degli ultimi anni, è senza dubbio un contributo alla conoscenza del drammaturgo novecentesco per eccellenza, Samuel Beckett, è un’occasione per rivedere e ripensare l’autore di Aspettando Godot, Finale di partita e L’ultimo nastro di Krapp, attraverso i quaderni di appunti registici, per la prima volta pubblicati in Italia. È questa la scommessa che la casa editrice ha fatto con sé stessa e con i suoi lettori, nel decimo anno della sua fondazione: offrire al mondo del teatro la pubblicazione dei «Quaderni di regia e testi riveduti» di cui sono usciti i volumi sulle pièce: Aspettando Godot, nell’edizione critica a cura di James Knowlson e Dougald McMillan, Finale di partita a cura di Stanley E. Gontarski e L’ultimo nastro di Krapp a cura di James Knowlson. Tutti i volumi hanno la firma curatoriale italiana di Luca Scarlini, che nella prefazione osserva come la restituzione dei quaderni di appunti legati alla messinscena dei testi e alle loro modifiche offra un’occasione pressoché unica di «entrare nel laboratorio di azioni verbali e gestuali di un autore capitale del secolo scorso, la cui influenza rimane capitale nelle forme più diverse del presente – si legge -. Lo scrittore qui diventa progressivamente anche regista della sua opera, affrontando con piglio assai personale lo specifico della radio, della televisione».
Ed è questo che promette di fare la collana dei Quaderni di regia e testi riveduti, offrire al lettore, allo spettatore, ai professionisti del teatro una serie di indicazioni concrete del dialogo registico di Samuel Beckett con le sue opere, ma soprattutto dell’evoluzione, parola dopo parola, ripensamento dopo ripensamento di testi che, nella vulgata, sembrano destinati all’immobilità della pubblicazione della parola scritta su pagina. Ed è questo il primo suggestivo effetto che producono questi quaderni: liberarci dalla figura di un Beckett uomo di libro, intransigente nel rispetto della parola scritta; anzi ci offrono un’immagine lontanissima dal Beckett scrittore e ce lo restituiscono come l’autore teatrale del continuo tornare e ritornare su parole e posture degli attori, movimenti nello spazio, in base alla messinscena e alla produzione, agli attori che di volta in volta dovevano interpretare i suoi testi.
Ad esempio, nel volume dedicato ai quaderni registici per Aspettando Godot, scrive James Knowlson nella Prefazione: «Il testo riveduto risultante può essere visto come una nuova versione di Aspettando Godot, più breve, più concisa nella struttura e pensata molto più chiaramente in termini teatrali, oltre che più convincente dal punto di vista estetico». Come dire che dall’analisi filologica e dall’esito critico che esce dai quaderni si raggiungono nuove convinzioni e nuove versioni dei testi beckettiani che possono rappresentare nuova linfa per future messinscene. Che si tratti di Aspettando Godot, piuttosto che di Finale di partita, gli appunti di Beckett permettono di entrare nel laboratorio creativo dell’autore, di compartecipare ai cambiamenti, ai ripensamenti, alle aggiunte e più volte ai tagli che Beckett fa dei suoi testi, mettendosi in relazione con lo spazio, con gli attori, interrogandosi sul movimento, sull’immagine e sullo sguardo dello spettatore. E osserva sempre Knowlson «sia come regista che come scrittore Beckett lavorava attraverso suggestioni, piuttosto che affermazioni, creando immagini che si rimandano a vicenda nell’immaginazione. (…) I quaderni di regia di Beckett rivelano come stesse sostanzialmente cercando di fare due cose simultaneamente. La prima, rappresentare alcuni degli aspetti fondamentali della sua visione nell’organizzazione, sistemazione e manipolazione delle immagini nello spazio teatrale. La seconda, creare un motivo esteticamente soddisfacente di forme, movimenti e suoni partendo dalla sua manipolazione di queste immagini».
Tutto ciò appare evidente non solo nei quaderni registici di Aspettando Godot, ma in particolar modo in quelli di Finale di partita, che documentano, a dieci anni dalla versione registica al Royal Court Theatre di Londra, sotto la direzione di Roger Blin, come nel 1967 Beckett decise di assumere la regia del testo, portando in scena Finale di partita allo Schiller Theater di Berlino, replicando tale esperienza, più tardi, nel 1980, al Riverside Studios di Londra. Queste due produzioni offrono la possibilità ritornare sul testo e ridefinirne non solo il ritmo verbale, ma anche le geometrie spaziali e visive. E così infatti scrive Stanley E. Gontarski nella Prefazione al volume: «Il teatro (non la scrittura dei testi, ma la messinscena) offriva a Beckett l’opportunità di avere a che fare con la forma (figura, relazione, bilanciamento, ma solo occasionalmente tono) in un modo che il linguaggio da solo non avrebbe mai potuto, nemmeno la poesia. Alla musica e alla poesia delle parole avrebbe potuto aggiungere, o piuttosto affiancare, la disposizione delle forme in uno spazio controllato, incorniciato (da cui l’interesse persistente di Beckett per il proscenio e la televisione, essendo entrambi delimitati da una sorta di cornice)». I Quaderni di regia mostrano l’attenzione di Beckett alle dinamiche spaziali e relazionali fra i personaggi, dimostrano quanto lo stesso Beckett ebbe modo di osservare: «il medium del dramma non è nelle parole, ma nelle persone che si muovono per il palcoscenico usando le parole».
Molto interessante appare anche il lavoro portato avanti da Samuel Beckett su L’ultimo nastro di Krapp, testo scritto nei primi due mesi del 1958, con in mente un attore ben preciso, Patrick Magee. «Era la distinta tonalità incrinata, stanca della vita, ‘rovinata’ della voce di Magee, oltre che al ritmo e all’intonazione irlandese del suo accento, ad attrarre Beckett, che per qualche tempo si riferì a questo spettacolo semplicemente come Monologo per Magee», scrive James Knowlson in apertura della Prefazione al volume. È nel 1969 allo Schiller Theater Werkstatt di Berlino che Beckett assume la regia dell’Ultimo nastro di Krapp, e a quell’esperienza si riferiscono i quaderni di regia, ma il volume si completa anche con l’analisi dei tagli e delle modifiche ai testi tedeschi e francesi. Tutto ciò – come nel caso dei due altri volumi dedicati ad Aspettando Godot e a Finale di partita – permette di avere in mano il testo dell’Ultimo nastro di Krapp nella sua versione finale, riveduta e corretta dal suo autore. In questo senso e con uno sguardo che abbraccia l’intera operazione editoriale, meritoriamente portata avanti da Cue Press, si può godere a pieno delle varianti, dei ripensamenti, delle aggiunte che in base alle condizioni legate alle relazioni di sala e teatrali l’autore apporta, mostrando come la sua controllatissima scrittura viva di un respiro corporeo e spaziale assoluto, e regalando al lettore/spettatore la possibilità di spiare i meccanismi creativi delle drammaturgie beckettiane, in una sorta di testimonianza partecipata in presa diretta.